Ricorso della Regione Campania (c.f. 80011990636), in persona del
Presidente della Giunta regionale  pro  tempore,  On.  Dott.  Stefano
Caldoro, rappresentata e difesa, ai sensi delle delibere della Giunta
regionale n.           del           giusta  procura  a  margine  del
presente atto, unitamente e disgiuntamente,  dall'Avv.  Maria  D'Elia
(c.f. DLEMRA53H42F839H) e dall' Avv.  Almerina  Bove  dell'avvocatura
Regionale,  ed  elettivamente   domiciliato   presso   l'Ufficio   di
rappresentanza della Regione Campania sito in Roma alla Via  Poli  n.
29 (fax 081/7963591; pec agc04.sett.02@regione.campania.it); 
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri  pro-tempore  per
la dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  degli  articoli
2-bis e 4-bis del decreto-legge 8 agosto 2013,  n.  91  (Disposizioni
urgenti per la tutela, la valorizzazione e il  rilancio  dei  beni  e
delle  attivita'  culturali   e   del   turismo),   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 7 ottobre  2013,  n.  112  (pubblicata  in
Gazzetta Ufficiale 8/10/2013, n. 236). 
    1. Nella Gazzetta Ufficiale - serie  generale  -  n.  236  dell'8
ottobre 2013, e' stata pubblicata la legge 7 ottobre  2013,  n.  112,
avente ad oggetto  "Conversione  in  legge,  con  modificazioni,  del
decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, recante disposizioni urgenti  per
la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attivita'
culturali e del turismo". 
    2. Per quanto d'interesse ai fini del presente giudizio, l'art. 1
della citata legge ha inserito nel decreto-legge 8  agosto  2013,  n.
91, l'art 2-bis, a mente del quale «All'articolo 52  del  codice  dei
beni culturali e del paesaggio, di  cui  al  decreto  legislativo  22
gennaio 2004, n. 42 sono apportate le seguenti modificazioni: 
        a) dopo il comma 1 e' aggiunto il seguente: 
"1-bis. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 7-bis, i comuni,
sentito il soprintendente, individuano altresi' i locali, a  chiunque
appartenenti,  nei  quali  si  svolgono  attivita'   di   artigianato
tradizionale e altre attivita' commerciali tradizionali, riconosciute
quali espressione dell'identita' culturale collettiva ai sensi  delle
convenzioni UNESCO di cui al medesimo  articolo  7-bis,  al  fine  di
assicurarne apposite forme di promozione e salvaguardia, nel rispetto
della liberta' di iniziativa economica di cui all'articolo  41  della
Costituzione"; 
        b) la rubrica e' sostituita dalla  seguente:  "Esercizio  del
commercio  in  aree  di  valore  culturale  e  nei   locali   storici
tradizionali"». 
    L'art. 1, comma 1 della citata legge ha inserito,  altresi',  nel
decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, l'art. 4-bis, a mente  del  quale
«All'articolo 52 del codice dei beni culturali e  del  paesaggio,  di
cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, dopo il comma 1 e'
aggiunto il seguente: 
        "1-bis.  Al  fine  di  contrastare  l'esercizio,  nelle  aree
pubbliche aventi particolare valore archeologico, storico,  artistico
e paesaggistico, di attivita'  commerciali  e  artigianali  in  forma
ambulante o su posteggio, nonche' di qualsiasi  altra  attivita'  non
compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio  culturale,  con
particolare riferimento alla necessita' di assicurare il  decoro  dei
complessi monumentali e degli altri immobili  del  demanio  culturale
interessati da flussi turistici  particolarmente  rilevanti,  nonche'
delle aree a essi contermini,  le  Direzioni  regionali  per  i  beni
culturali e paesaggistici  e  le  soprintendenze,  sentiti  gli  enti
locali, adottano apposite determinazioni volte a vietare gli  usi  da
ritenere non compatibili con le specifiche esigenze di  tutela  e  di
valorizzazione, comprese le forme di  uso  pubblico  non  soggette  a
concessione di uso individuale, quali le  attivita'  ambulanti  senza
posteggio,  nonche',  ove  se  ne  riscontri  la  necessita',   l'uso
individuale delle aree pubbliche di pregio a seguito del rilascio  di
concessioni di posteggio o di occupazione di suolo pubblico"». 
    Le menzionate disposizioni sono  illegittime,  in  guisa  che  si
chiede a Codesta Corte la  relativa  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale, per i seguenti 
 
                               Motivi 
 
I. Illegittimita' costituzionale della previsione di  cui  al  citato
art. 2-bis per violazione degli artt.117, commi 3 e  4  e  118  della
Costituzione e per violazione del principio di leale collaborazione. 
    Si  e'  sopra  rilevato  come,  a  mente  dell'art.   2-bis   del
decreto-legge  impugnato,  «All'articolo  52  del  codice  dei   beni
culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo  22  gennaio
2004, n. 42, sono apportate le seguenti modificazioni: 
        a) dopo il comma 1 e' aggiunto il seguente: 
"1-bis. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 7-bis, i comuni,
sentito il soprintendente, individuano altresi' i locali, a  chiunque
appartenenti,  nei  quali  si  svolgono  attivita'   di   artigianato
tradizionale e altre attivita' commerciali tradizionali, riconosciute
quali espressione dell'identita' culturale collettiva ai sensi  delle
convenzioni UNESCO di cui al medesimo  articolo  7-bis,  al  fine  di
assicurarne apposite forme di promozione e salvaguardia, nel rispetto
della liberta' di iniziativa economica di cui all'articolo  41  della
Costituzione"; 
        b) la rubrica e' sostituita dalla  seguente:  "Esercizio  del
commercio  in  aree  di  valore  culturale  e  nei   locali   storici
tradizionali"». 
    1.  La  citata   disposizione   normativa,   ancorche'   inserita
nell'ambito dei codice dei beni culturali e del paesaggio, persegue -
come peraltro esplicitato anche nella novellata rubrica, di cui  alla
lett. b), che fa  riferimento  all'"esercizio  del  commercio"  -  la
finalita' di promozione e salvaguardia delle attivita' artigianali  e
del commercio svolte  in  locali  tradizionalmente  deputati  a  tali
attivita'. In quanto tale, essa  appare  senz'altro  ascrivibile,  in
primo  luogo,  alla  materia  "artigianato",  oggetto  di  competenza
legislativa esclusiva  della  Regione  all'esito  della  riforma  del
Titolo V della Costituzione ad opera della  legge  costituzionale  n.
3/2001. 
    E'  noto,  invero,  che   il   riformato   articolo   117   della
Costituzione,  non   annoverando   l'artigianato   tra   le   materie
tassativamente riservate alla  legislazione  esclusiva  statale  o  a
quella  concorrente,  implicitamente  demanda  questa  materia   alla
potesta' legislativa residuale delle Regioni, modificando in tal modo
la precedente previsione costituzionale, che  invece  assegnava  allo
Stato il compito di stabilire i principi fondamentali in  materia  di
artigianato, prevedendo la competenza concorrente delle Regioni. Alla
competenza  legislativa  residuale  delle   Regioni   compete   anche
l'adozione  delle  misure  di   promozione,   sviluppo   e   sostegno
dell'artigianato. 
    Allo stesso modo, in seguito alla citata  riforma  del  titolo  V
della Costituzione, la materia del  commercio  e'  stata  da  Codesta
Corte pacificamente ricondotta alla competenza legislativa  residuale
delle Regioni ex art. 117, co. 4, Cost. (cfr. sentenza 13.1.2004,  n.
1). Ne deriva la illegittimita' della disposizione  in  epigrafe,  in
quanto lesiva della competenza legislativa regionale residuale. 
    2. In via  subordinata,  ove  voglia  ravvisarsi  la  materia  di
pertinenza della citata disposizione in quella della  "valorizzazione
dei beni culturali" - il che non appare, in ragione  dell'assenza  di
rilievo  autonomo  dei  locali  cui  la  norma  fa  riferimento,  che
assurgono all'attenzione del legislatore non  gia'  per  l'intrinseco
pregio o valore, bensi' solo in  quanto  ivi  si  svolge  l'attivita'
artigianale o commerciale - in  ogni  caso,  la  disposizione  appare
adottata in violazione dell'art. 117, terzo comma in  quanto  non  si
limita alla individuazione dei principi cui informare  la  disciplina
della materia, ma si estrinseca in una norma di dettaglio. 
    3. Sotto altro profilo, la citata disposizione viola il principio
di leale collaborazione tra Stato e Regioni, in quanto  oblitera  del
tutto coinvolgimento delle Regioni nel delineato  procedimento  volto
alla individuazione delle  forme  di  promozione  e  salvaguardia  da
adottarsi, destinate a riverberarsi  in  ogni  caso  sulle  attivita'
ascritte alla competenza regionale (artigianato e commercio). 
    Nella sentenza n. 162 del 2005, Codesta Corte ha  avuto  modo  di
rilevare come, nelle fattispecie nelle  quali  l'articolazione  della
normativa comporti la coesistenza  della  competenza  dello  Stato  e
delle Regioni, tale articolazione "esige forme di cooperazione con le
Regioni e di incisivo coinvolgimento delle stesse,  essendo  evidente
che l'intervento dello Stato debba rispettare la sfera di  competenza
spettante alle Regioni in via residuale", a pena della violazione del
principio di leale collaborazione. 
II. Illegittimita' costituzionale della previsione di  cui  alll'art.
4-bis per violazione degli artt.  117,  commi  3  e  4  e  118  della
Costituzione e per violazione del principio di leale collaborazione. 
    A mente dell'art. 4-bis, «All'articolo 52  del  codice  dei  beni
culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo  22  gennaio
2004, n. 42, dopo il comma 1 e' aggiunto il seguente: 
        "1-bis.  Al  fine  di  contrastare  l'esercizio,  nelle  aree
pubbliche aventi particolare valore archeologico, storico,  artistico
e paesaggistico, di attivita'  commerciali  e  artigianali  in  forma
ambulante o su posteggio, nonche' di qualsiasi  altra  attivita'  non
compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio  culturale,  con
particolare riferimento alla necessita' di assicurare il  decoro  dei
complessi monumentali e degli altri immobili  del  demanio  culturale
interessati da flussi turistici  particolarmente  rilevanti,  nonche'
delle aree a essi contermini,  le  Direzioni  regionali  per  i  beni
culturali e paesaggistici  e  le  soprintendenze,  sentiti  gli  enti
locali, adottano apposite determinazioni volte a vietare gli  usi  da
ritenere non compatibili con le specifiche esigenze di  tutela  e  di
valorizzazione, comprese le forme di  uso  pubblico  non  soggette  a
concessione di uso individuale, quali le  attivita'  ambulanti  senza
posteggio,  nonche',  ove  se  ne  riscontri  la  necessita',   l'uso
individuale delle aree pubbliche di pregio a seguito del rilascio  di
concessioni di posteggio o di occupazione di suolo pubblico"». 
    La citata disposizione normativa - la  quale,  peraltro,  prevede
l'aggiunta di un comma 1-bis all'art. 52 del Codice senza tener conto
dell'inserimento di un comma 1-bis gia'  ad  opera  dell'art.  2-bis,
comma 1, lett. a) del medesimo decreto-legge - contrasta  con  l'art.
117, commi terzo e quarto e 118 della Costituzione, in  quanto,  come
rilevato al punto precedente, non compete allo  Stato  la  disciplina
delle attivita' artigianali e commerciali ne' l'adozione di  apposite
determinazioni volte a vietare le attivita' non  compatibili  con  le
specifiche esigenza di tutela  e  di  valorizzazione  delle  aree  di
valore  archeologico,  storico,  artistico  e  paesaggistico.  Quanto
rilevato vale, poi, a fortiori per le aree non aventi diretto  valore
archeologico, storico, artistico  e  paesaggistico,  bensi'  ad  esse
meramente "contermini". 
    La  materia  della  valorizzazione   dei   beni   culturali   e',
d'altronde, come sopra rilevato, affidata alla competenza concorrente
regionale, con la  conseguenza  della  illegittimita'  costituzionale
della previsione in epigrafe anche sotto  il  profilo  dell'eccedenza
del  relativo  contenuto  rispetto  ai  principi  fondamentali  nella
materia, e del contrasto con la necessita' che  essi  lascino  spazio
per una attuazione regionale (cfr. Corte Cost., sent. 200/2009).